I CELTI INSUBRI

I Biturigi /Viturikes

della Seconda Età del Ferro

Dal IV sec.a.C. iniziano una serie di migrazioni delle popolazioni celtiche dal nord Europa.
Nuove popolazioni celtiche giunsero in Italia, e si stanziarono in zone poco popolate o abitate da genti non celtiche.
Livio, storico romano, narra che nel 600 a.C., Belloveso nipote di Ambigato, del re dei Biturigi, giunse nella Pianura Padana, guidando nuovi gruppi di Celti (Biturigi, Arverni, Sènoni, Edui, Ambarri, Carnuti, Aulerci) provenienti dalla Gallia.
Essi giunsero in una regione dell'Italia nordoccidentale chiamata da tempo immemorabile Insubrium (Insubria).
Venne fondata Mediolanum (Milano), il centro politico e religioso degli Insubri, posto nel mezzo del loro territorio.
Il processo di sovrapposizione delle nuove genti a quelle preesistenti, tutt'oggi non è ancora chiaro, in termini archeologici.
I Biturigi erano una tribù stanziata nel centro della Gallia, che chiamava se stessa "i re del mondo", Biturigi appunto, da bitu (o byth, byd) "mondo" e da rigi dal plurale della parola rix, "re".
Chateau-meillant (Mediolanum) era il centro sacro dei Biturigi Cubi da cui viene fatto emigrare Belloveso, non lontano da Avaricum (Bourges), la loro capitale, e la popolazione era ricca in quanto sfruttava le miniere di ferro della zona.
I Biturigi Vivisci avevano come loro centro Meilhan sulla Garonna, verso Burdigalia (Bordeaux).
Tuttavia, è da ricordare che i Celti avevano due centri principali, uno religioso e uno civile-commerciale, che generalmente non coincidevano mai.
Dire che il fondatore del Mediolanum degli Insubri proveniva dai Biturigi, significava riconoscergli la regalità che gli veniva dall'appartenere ai "re del mondo", sufficiente per garantire la più nobile origine alla sua fondazione.
I Biturigi, si fusero con gli Insubri Golasecchiani, ed entrambi mantennero il nome di Insubri.


Biturigi Cubi e Buturigi Vivisci in Gallia Transalpina, i quali poi giunsero in Gallia Cisalpina
disegno di Cristiano Brandolini

Tito Livio, nel liber V, paragrafo 34 del Ab Urbe Condita Libri, scrive: Quanto al passaggio dei Galli in Italia, ecco le notizie che ci sono pervenute: mentre a Roma regnava Prisco Tarquinio, il supremo potere sui Celti, che rappresentano un terzo della Gallia, era nelle mani dei Biturigi; questi mettevano a capo di tutti i Celti un re. Tale fu Ambigato, uomo assai potente per valore e ricchezza, sia propria che pubblica, perché sotto il suo governo la Gallia fu così ricca di prodotti e di uomini da sembrare che la numerosa popolazione si potesse a stento dominare. Costui, già in età avanzata com'era, desiderando liberare il suo regno dal peso di quel sovraffollamento, lasciò intendere ch'era disposto a mandare i nipoti Belloveso e Segoveso, giovani animosi, in quelle sedi che gli dei avessero indicato con gli aurighi: portassero con se quanti uomini volevano, in modo che nessun popolo potesse respingerli al loro arrivo. A Segoveso fu quindi destinata dalla sorte la selva Ercinia; Belloveso invece gli dei indicavano una via ben più allettante: quella verso l'Italia. Quest'ultimo portò con se il soprappiù di quei popoli, Biturigi, Arverni, Sènoni, Edui, Ambarri, Carnuti, Aulerci. Partito con grandi forze di fanteria e di cavalleria, giunse nel territorio dei Tricastini. Di là si ergeva l'ostacolo delle Alpi; e non mi meraviglio certo ch'esse siano parse insuperabili, perché nessuno ancora le aveva valicate, almeno in quello spazio di tempo che la storia può abbracciare, salvo che si voglia prestar fede alla leggenda fiorita intorno ad Ercole. Ivi, mentre i Galli si trovavano come accerchiati dall'altezza dei monti e si guardavano attorno chiedendosi per quale via mai potessero, attraverso quei gioghi che toccavano il cielo, passare in un altro mondo, furono trattenuti anche da uno scrupolo religioso, perché fu riferito loro che degli stranieri in cerca di terre erano attaccati dal popolo dei Salvi o Salluvii. Quegli stranieri erano i Marsigliesi, venuti per mare da Focea. I Galli, ritenendo tale circostanza un presagio del loro destino, li aiutarono a fortificare, nonostante la resistenza dei Salvi, il primo luogo ch'essi avevano occupato al loro sbarco. Essi poi, attraverso i monti Taurini e la valle della Dora, varcarono le Alpi; e, sconfitti in battaglia i Tusci non lunghi dal Ticino, avendo sentito dire che quello in cui si erano fermati si chiamava territorio degli Insubri, lo stesso nome che aveva un cantone degli Edui, accogliendo l'augurio del luogo, vi fondarono una città che chiamarono Mediolano (Milano).

I Celti in Italia settentrionale nella Seconda Età del Ferro (disegno di Cristiano Brandolini)
I Celti della Seconda Età del Ferro (disegno di Cristiano Brandolini)

Anche una parte della tribù dei Boii, decise di migrare dalla Boemia e Moravia.
Probabilmente giunsero in Italia anche grazie ai contatti, sia commerciali che culturali che avevano con gli Insubri Golasecchiani.
Stanziatesi nell'attuale Emilia, continuarono a commerciare con la parte di loro che era rimasta nelle terre d'origine.

Sempre Tito Livio, nel liber V, paragrafo 35, scrive: Successivamente un'altra schiera, quella dei Cenomani, sotto il comando di Etitovio, seguì le tracce dei precedenti popoli, e, col favore di Belloveso, passate le Alpi attraverso lo stesso valico, si stanziò nelle terre dove oggi sorgono le città di Brescia e di Verona. Dopo di loro, i Libui e i Salluvi si fermarono presso l'antica popolazione dei Levi Liguri, che abitavano nelle vicinanze del fiume Ticino. E' quindi la volta dei Boii e dei Lingoni, i quali, calati attraverso il Pennino, poiché erano già tutte occupate le terre comprese tra il Po e le Alpi, dopo aver varcato il Po su zattere, scacciano dal loro territorio non soltanto gli Etruschi ma anche gli Umbri, senza tuttavia oltrepassare l'Appennino. Infine i Sènoni, ultimi degli invasori, occuparono il territorio che va dal fiume Utente all'Esino.

Il rinvenimento ad Arsago Seprio presso la necropoli gallo-romana, di un olla biconica del tutto uguale a quelle di fattura boema, testimonia i contatti commerciali e culturali tra i Celti cisalpini e transalpini.


Materiali provenienti dalla necropoli di Magenta (Mi), spade con punzonature, foderi con decorazioni incise e catene sospensorie.

L'uso di imprimere marchi sulle lame delle spade è attestato prevalentemente in Svizzera, da cui proviene la stragrande maggioranza dei ritrovamenti. Diversi marchi sono conosciuti anche in Germania meridionale, Ungheria e Slovenia, altrove si hanno testimonianze molto più sporadiche.
Anche se comunemente classificati come marchi di fabbrica, in realtà sembra che il loro significato fosse di carattere talismanico e apotropaico. Prevalentemente si trovano rappresentazioni di maschere umane inserite in una mezzaluna e cinghiali, rappresentati come di consuetudine nell'arte celta, con le setole del dorso irsute.
In alcuni casi, tra le zampe del cinghiale sono collocate tre palline, forse a rappresentare, in modo stilizzato, un triskel, in altri casi, come ad esempio sul punzone della spada di Magenta, tra le zampe vi è un simbolo circolare, il quale potrebbe essere un simbolo solare.
Il cinghiale era uno degli animali di culto per eccellenza tra i Celti, simboleggiava la forza, la virilità, la guerra e spesso lo si ritrova raffigurato sia su monete, spade e suppellettili vari.
Le spade di Magenta, sono quindi un prodotto di artigianato celta, inconfondibile, attribuibile certamente agli Insubri, inoltre dimostrano l'esistenza di strettissimi contatti con l'altopiano elvetico, con i Leponti, da cui potrebbero anche provenire tramite gli scambi commerciali.

Lama di spada con punzonatura raffigurante un cinghiale (ingrandito nel particolare) e fodero di spada con decorazione incisa raffigurante un triskel, da Magenta (Mi), 250-175 a.C.
Catena sistema di sospensura porta spada, in ferro, da Magenta (Mi), 250-175 a.C.
Un esemplare del tutto simile è stato rinvenuto in una sepoltura con armi, datata anch'essa tra il 250-200 a.C. a Malnate (Va)
Raffigurazione di cinghiale, da una moneta coniata dalla tridù degli Osismii, celti stanziati in Gallia, nelle terre dell'attuale Bretagna.
Si noti la similitudine con la raffigurazione sulla spada di Magenta.
Torques in bronzo, provenienza ignota, Milano, 300-250 a.C. circa. - Cavigliere a ovoli in bronzo, provenienza ignota, Milano, 300 a.C. circa.

Materiali provenienti dalla necropoli di Via Beltrami ad Arsago Seprio (Va), spade, foderi con decorazioni incise, coltellacci.

Armi, anelli probbabilmente riferibili al sistema di sospensura della spada, cesoie, fibule, e ciotole in ceramica, rinvenuti all'interno di una fossa le cui pareti erano foderate con ciottoli e pietre. Non una tomba, ma una fossa o pozzo votivo.
Anche in questo caso, come per le spade di Magenta è stato rinvenuto un fodero con decorazione incisa, raffigurante il triskel.
Il triskel, chiamato anche triscele o triskellion, dal greco “tre gambe” è uno dei simboli per eccellenza, nell’arte celtica.
I numeri ricoprivano un ruolo importante nel simbolismo celtico. Il più sacro o magico di tutti era il numero "tre", in quanto simboleggiava la moltiplicazione.
Se, a partire dal centro del simbolo, le tre spirali che lo formano si avvolgono su loro stesse da destra verso sinistra, rappresenta il turbinare delle energie dall'interno verso l'esterno, la manifestazione; se invece si sviluppano da sinistra verso destra simboleggia il discendere nell’oltretomba.
Questo simbolo può assumere diversi significati, secondo il contesto in cui è inserito, alcuni di questi sono:
- La Triplice Manifestazione del Dio Unico: Forza, Saggezza e Amore e quindi le tre classi della società celtica che incarnavano tali energie, Guerrieri, Druidi e Produttori.
- I tre aspetti del mondo materiale: Terra (cinghiale), Acqua (Salmone), Cielo (Drago) che con il loro movimento si riuniscono tutti nel quarto elemento, il Fuoco, simboleggiato dal cerchio che racchiude il triskel.
- Le tre fasi solari in manifestazione: alba, mezzogiorno, tramonto.
- La Dea nel suo triplice aspetto di Vergine-Madre-Vecchia, Figlia-Madre-Sorella.
- Il simbolo della trinità femminile della battaglia Morrigan-Macha-Boadb e di quella maschile Ogma-Lugh-Dagda.
Borchia su fodero di spada, con triskel, da Arsago Seprio (Va), 200 a.C.
Coltellaccio da guerra, da Arsago Seprio (Va), 200 a.C.
Spada lunga con fodero in ferro, da Arsago Seprio (Va), 200 a.C.

Nel I sec. a.C. malgrado l'alfabeto latino fosse ormai ben conosciuto dalle genti celte, essi continuarono ad usare quello insubre, ciò è largamente testimoniato dalle numerose iscrizioni sui manufatti ceramici.

Nomi propri di persona graffiti a caratteri Insubri, su ceramica rinvenuta in sepolture di I sec. a.C. nella necropoli gallo-romana di
Arsago Seprio



La fondazione di Mediolano


La futura Mediolanum dei Romani, che la conquistarono nel 222 a.C., fu fondata in un luogo ritenuto sacro dai Celti per la presenza di uno specchio d'acqua, di cui resta traccia nei nomi delle odierne vie Pantano e Laghetto e nella storia della costruzione del Duomo, di una sorgente solforosa considerata magica, la quale sgorga ancora oggi nel Parco Sempione, di foreste e boschi, e di una piccola collina, la "motta", ideale da recintare e facile da difendere. Ad accrescerne la sacralità il particolare, tramandato nel medioevo, che Belloveso sarebbe stato condotto sul luogo da una scrofa semilanuta , cioè da una femmina di cinghiale, animale di tradizione druidica. Un eco di questo mito è ancora oggi visibile, a pochi passi dal Duomo, in un antico bassorilievo, che rappresenta appunto, la scrofa semilanuta, rinvenuto nel 1233 durante i lavori di costruzione del palazzo della Ragione (Broletto) in piazza Mercanti, e murato su un arco.

Il bassorilievo raffigurante la scrofa semilanuta, murato nel secondo arco del palazzo del Broletto




Bibliografia:

AA.VV. I Celti, Bompiani, Milano 1991.
AA.VV. Celti dal cuore dell'Europa all'Insubria, vol. 1-2, Kronos B.Y. Edizioni 2004.
AA.VV. La raccolta archeologica e il territorio, Museo Civico di Sesto Calende, Sesto Calende 2000.
AA.VV. Studi sulla cronologia delle civiltà di Este e Golasecca, Origines, Firenze 1975.
AA.VV. I Leponti, tra mito e realtà, vol. 1-2, Armando Dadò Editore, Locarno 2000.
AA.VV. Atti 2° Convegno Archeologico Regionale, La Lombardia tra Protostoria e Romanità, Società Archeologica Comense, Como 1986.

Elena Percivaldi, I Celti, Un popolo e una civiltà d'Europa, Giunti, Firenze 2003.
Peter Wilcox, Romen's Enemis I, German and Dacians, Men at Arms 129, Osprey Publishing.

Giulio Cesare, De Bello Gallico.
Tito Livio, Ab Urbe Condita Libri.
Strabone, Geografia.
Svetonio, Vite dei dodici Cesari I.






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